Diritti e doveri di un parlamentare

 

Diritti e doveri di un parlamentare: una libertà che è responsabilità e non anarchia

Breve sintesi di diritto parlamentare tra cose studiate e insegnate e un’esperienza vissuta

di Stefano Ceccanti

  1. Per essere arrivato in Parlamento qualcuno ti deve candidare e qualcun altro ti deve eleggere. Quindi c’è una sorta di rapporto a tre tra l’eletto, il soggetto collettivo che lo candida (il partito, che poi ha il gruppo come sua proiezione parlamentare), gli elettori (al di là dei limiti dei vari sistemi elettorali). I diritti e doveri del parlamentare si collocano qui, nella complessità di questo rapporto a tre. Non a caso i principali articoli della Costituzione che illustrano questo fondamento e che non sono separabili gli uni dagli altri, per un verso valorizzano il ruolo delle realtà collettive (art. 49:  i cittadini si associano in partiti per determinare la politica nazionale, i cittadini sono il soggetto ma senza lo strumento dei partiti, e quindi dei gruppi, se il rapporto fosse solo con tanti eletti intesi quali atomi individuali non potrebbero determinare la politica nazionale) e per altro il ruolo dei singoli (il divieto di mandato imperativo di cui all’art. 67 che impedisce al partito di revocare il mandato al singolo; se non ti dimetti o non decadi per fattispecie regolate dalle leggi hai diritto di restare lì). Non si po’ quindi invocare da solo l’art. 67, separando libertà da responsabilità, come se ci trovassimo solo di fronte a una somma anarchica di individui.

  2. Appena arrivi, devi aderire a un gruppo, che di norma corrisponde alla lista in cui sei stato eletto. Dal Gruppo puoi sempre uscire, senza perdere il mandato parlamentare; nel contempo il Gruppo a cui aderisci ha un Regolamento che prevede varie forme di sanzioni, specie per i comportamenti in dissenso, che può portare anche all’esclusione. Il rapporto si può quindi rompere sia da parte del singolo sia da parte del Gruppo. Normalmente il Regolamento del tuo Gruppo i dà ampi spazi per poter determinare l’indirizzo del Gruppo, ma ti chiede anche il dovere di accettare le decisioni prese democraticamente in comune. Ti esenta dalla disciplina solo in alcuni casi, ben determinati, che in genere coincidono con quelli che il Regolamento della Camera a cui appartieni protegge (in Aula, non in Commissione) col voto segreto: elezioni su persone, votazioni collegate a princìpi costituzionali della Prima Parte della Costituzione. Non hai quindi un diritto a restare comunque nel tuo Gruppo, ce l’hai solo rispetto all’Assemblea. In concreto fanno fede per l’attuale Senato gli articoli 14 (adesione a un gruppo) e 15 (costituzione di gruppi) e per il Gruppo Pd l’articolo 2 del Regolamento Interno (http://www.senatoripd.it/doc/334/regolamento-del-gruppo-del-partito-democratico.htm) che ti dà quei margini precisi di dissenso per l’Aula, non per la Commissione.

  3. In Commissione ti designa il tuo Gruppo che può sempre sostituirti perché la Commissione è un luogo di confronto tra Gruppi, non tra singoli atomi: per questo la Costituzione vuole che esse siano una fotografia dei rapporti quantitativi tra i Gruppi (art. 72). Se nel tuo Gruppo sei andato democraticamente in minoranza e hai problemi ad allinearti nel voto (non nelle opinioni che restano doverosamente sempre libere) chiedi tu di essere sostituito, pima che la Presidenza del tuo Gruppo sia costretta a farlo per far valere la decisione presa insieme. Non hai quindi neanche un diritto a stare in una specifica Commissione, come ce l’hai invece per l’Aula. In concreto fanno fede gli articoli 21 del Regolamento Senato (nomina delle Commissioni) e 31 (sostituzione nelle Commissioni).

  4. Il terreno delle riforme della Parte Seconda della Costituzione è materia eminentemente politica, su cui i Gruppi si riuniscono e democraticamente stabiliscono una linea, che, nel caso, si può sempre cercare di correggere sempre con gli stessi strumenti democratici, anche al fine di trovare intese più larghe con gli altri gruppi disponibili, in un vero spirito costituente. Neanch’esso però funziona per aggregazione anarchica di individui, ma soprattutto per tenuta dei soggetti collettivi. Chiunque abbia letto la bellissima intervista di Scoppola ed Elia a Lazzati e Dossetti ha un’idea precisa e no caricaturale di quanto le pur forti individualità fossero legate allora all’idea di un patto tra forze politiche e non tra singoli, soprattutto dopo che si era rotta la collaborazione di Governo. Molti nel proprio Gruppo rinunciarono a gran parte delle proprie convinzioni in nome di una solidarietà comunitaria di gruppo dentro cui si fa valere la responsabilità dei singoli. L’altro ieri buona parte dei deputati socialisti spagnoli, membri di un partito storicamente repubblicano, ha accettato di votare la legge organica che rende operativa l’abdicazione del Re, dopo il confronto democratico con il gruppo e anche i due che non hanno votato a favore in Aula, astenendosi o risultando assente, hanno accettato di buon grado la sanzione pecuniaria prevista in quel caso dal Regolamento, senza protestare per presunte violazioni del divieto di mandato imperativo. Così funzionano le democrazie parlamentari contemporanee, nessuna esclusa, da quando c’è il suffragio universale e, con esso, il bisogno di soggetti collettivi per organizzare un rapporto stabile tra cittadini ed elettori. Nel merito quei soggetti possono certo sbagliare, nessuno è infallibile, ma il rimedio sta nell’utilizzare gli spazi democratici interni, non in un elogio dell’anarchia del singolo eletto, anch’esso peraltro fallibile.


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