Storia e vita di Friedrich Nietzsche ( Italiano )




Friedrich Nietzsche

Attorno a Nietzsche si è creato un mito che è andato a discapito di una profonda comprensione del suo pensiero. Influenzato dal suo percorso di vita, che smarrisce la linearità, amplificato dal ruolo della malattia. Malattia che veniva inizialmente utilizzata per gettare un'ombra sulla sua filosofia: una "filosofia malata" proveniente da una "mente malata". Sebbene si sia giunti, oggi, a ridimensionare quest'idea, e alla consapevolezza finale che la filosofia di Nietzsche vada analizzata in se stessa, personalmente non riesco a staccare il suo vissuto dalla bellezza delle sue parole. Come Nietzsche stesso disse: "in tutte le opere che ho scritto, io ho messo dentro anima e corpo".


Nietzsche, che è stato probabilmente la perfetta incarnazione del binomio genialità- follia. Perché, come la storia ci ha sempre insegnato, la razionalità non è l'unica forza creatrice, anzi spesso la creatività, l'ispirazione e l'originalità hanno poco a che fare con una razionalità lineare. Spesso e volentieri l'arte la si crea guardando in quell'abisso, avventurandoci nei fondali in burrasca dell'avventura umana. Questo caos con cui ci battiamo che, oltre ad essere disordine, è anche, molto spesso, nulla. E purché la lotta sia terribile e maestosa, non importa davvero chi vince.


Sempre Nietzsche scrisse: "Alla fine la mia malattia mi ha recato il massimo giovamento: mi ha sciolto da ogni vincolo, mi ha ridato il coraggio di essere me stesso. [...] Se sono un filosofo? Ma che importa".


E' importante quindi capire fino in fondo quali sono davvero gli snodi principali del suo pensiero: i temi che Nietzsche tratta sono i "grandi temi" di ogni uomo, caratterizzati dalla loro straordinaria seppur dolorosa concretezza, per ridefinire il senso stesso di stare al mondo.


Nietzsche in realtà non era laureato in filosofia, anzi alla base del suo pensiero vi è proprio una riflessione filologica. L'obiettivo di Nietzsche è quello di modernizzare la filologia, di mettere in dialogo l'aspetto scientifico, storico e artistico. Nietzsche era, infatti, profondamente attratto dall'arte, che per lui aveva una massima capacità di penetrazione, tanto da arrivare a definirla "la vera attività metafisica di questa vita".


Per questo potremmo utilizzare l'immagine di un centauro, una creatura che ha in sé due nature diverse: una parte storico- scientifica (non produttiva, ma conoscitiva) e una artistica (che mira alla creazione nuova). Ma forse l'inesistenza di questa creatura suggerisce quanto fosse utopico il progetto.


Diventa inutile interrogarsi quindi se Nietzsche fosse più un filosofo o un filologo. Lo stesso Nietzsche, anzi, si definì più volte in maniera vaga: filosofo, psicologo, fisiologo, immoralista, medico, scienziato... Ma la cosa che più lo fece soffrire è di non essere mai diventato un grande musicista. E' sempre lo stesso Nietzsche, d'altronde, che approda all'idea che si possono dare diverse interpretazioni del mondo.


Tra tutte le arti, Nietzsche predilige la tragedia greca, che era quella che, in qualche modo, scopriva i due livelli della personalità e della natura umana: quello esteriore, ordinato, detto "apollineo" (ispirato dal dio Apollo) e quello confuso ed oscuro, chiamato "dionisiaco" (ispirato da Dioniso). Per comprendere meglio come questi due stati coesistono, è utile utilizzare l'immagine di una colata di lava che si solidifica: in superficie è apparentemente pietra formata, in profondità è una metamorfosi continua.


La tragedia greca quindi non solo è la massima espressione artistica, ma diventa la chiave per comprendere l'essenza della realtà stessa.


Quando Nietzsche scrive il suo capolavoro giovanile, "La nascita della tragedia dallo spirito della musica", egli è in un duello solitario con l'Europa moderna e le sue ossessioni. Il suo incontro con Schopenhauer gli cambiò la vita, già da quando lesse per la prima volta "Il mondo come volontà e rappresentazione".  Ed è proprio dell'espressione latina "principium individuationis" ritrovata  in questo testo che lui si serve, quando sottolinea il tratto fondamentale della separazione. Il tratto fondamentale di quel "mondo diurno" comune a tutti, formato dalle cose che ci tengono solitamente occupati: un mondo retto dai criteri di organizzazione che ci sono noti come "spazio e tempo". Ogni cosa, ogni persona ha un proprio posto: dove ci sono io non ci sei tu (spazio) e quello che sono adesso non è ciò che ero prima (tempo). Ciò è intrinseco del principium individuationis; per l'appunto, la separazione organizza. L'utilità del principium individuationis risiedeva dunque per i Greci in Apollo: il dio Apollo protegge i confini dell'esistenza con la sua molteplicità organizzata. Ma cosa minaccia i confini dell'esistenza, se essi hanno bisogno di protezione?


Nel pantheon greco si oppone ad Apollo Dioniso, suo fratellastro. Dioniso è il dio dell'ebbrezza, dell'eccesso, del delirio. Il dio "metafisico", dell'orgia e della mancanza di limite. Dioniso è tanto la tenebra dell'esistenza quanto il suo fondamento.


Per Nietzsche in realtà più che due dei che si fronteggiano, essi sono due modi diversi di fare la stessa esperienza. Anzi, proprio come l'esempio della lava sottolineava, Apollo è la maschera di Dioniso, è il suo nome. Questo è ciò che "l'uomo tragico" è in grado di percepire. Nietzsche crede infatti che il dramma tragico è tale quando Dioniso è rappresentato tramite una serie di immagini, le quali trasformano la sofferenza dell'eroe in compiutezza, in bellezza.  I due impulsi diversi, quello di Dioniso ed Apollo, procedono uno accanto all'altro, per perpetuare la loro eterna lotta, affinché nel loro accoppiamento producano la tragedia attica: tanto apollinea quando dionisiaca. Non a caso Nietzsche amò per tutta la vita Eraclito, che considerava il conflitto (polemos) padre di tutte le cose.


Nietzsche quindi sta rifiutando l'idea che una realtà molteplice possa far riferimento ad un principio unitario. Dietro l'apparenza "apollinea" del mondo, ritroviamo un nuovo tipo di molteplice. Il senso della tragedia, infatti, non è quello di "risolvere" questo conflitto e portare ad un'unità, ma consiste più nel sopportare il dolore e la dissonanza. Un'arte che elimina questa dissonanza cancella, in ultima analisi, il fondo da cui tutto nasce.


Quindi Nietzsche si scaglia contro Euripide (nella cui tragedia, il coro comincia a perdere importanza; che porta sulla scena un uomo comune, con avvenimenti che si susseguono in maniera razionale, concatenata) e, soprattutto, contro Socrate, a cui Euripide si rifà. Socrate diventa lo "spartiacque" tra il mondo di Dioniso e quello di Apollo. Dal punto di vista di Socrate, visto che la vita è anche sofferenza, lotta, trasformazione, abbandono, perdita, essa non è degna di essere vissuta così com'è. Ed è attraverso la conoscenza che egli si difende dal molteplice, da tutte le forme di imperfezione o incompiutezza. Socrate, dunque, si spaventa di fronte quella "massa aggrovigliata" che è la vita. E noi, circa venticinque secoli dopo, la pensiamo ancora come Socrate. Ed è per questo motivo che Nietzsche individua qui il principio di quel processo di decadenza che porterà al prevalere dell'apollineo. Per Nietzsche, la crudeltà, la ferocia, il fallimento, sono caratteri dell'esistenza che non possono esserle sottratti. L'esistenza è metamorfosi delle forze, soprattutto.


Il Nietzsche maturo chiamerà l'ordine e la bellezza della vita metamorfici (instabili e dinamici) volontà di potenza. Nietzsche ci dice che noi, come tutto il mondo, non siamo altro che volontà di potenza. La vita è quindi caratterizzata dal desiderio di essere più che "semplice vita". In "Così parlò Zarathurstra" Nietzsche scrive: "E questo segreto mi confidò la vita stessa: vedi, disse, io sono quella che sempre deve superare se stessa".  E proprio questo è la volontà di potenza: è la vita che supera se stessa. Nietzsche identifica poi questa volontà di potenza con"l'intima essenza dell'essere". Egli è penetrato nel cuore della vita stessa, e ancor di più fino alle radici del cuore. L'auto affermarsi, il superare se stessi, l'auto creazione... La volontà di coerenza va ricercata anche nella coerenza, nella necessità, interne stesso al movimento e al processo. E forse proprio qui, in questa forza assoluta, hanno origine l'Akrte e la Bellezza, in grado di sedurci, di toccarci così profondamente.


Secondo Nietzsche, però, è come se fossimo rimasti bloccati un "mondo di mezzo", dove l'alba del mondo nuovo della potenza ancora fatica a spuntare tra le macerie del socratismo e del cristianesimo - che anch'esso tenta di creare un mondo stabile ed organizzato, per "salvare" noi uomini dal dolore e dal disordine che sperimentiamo ogni giorno. Questa situazione di mezzo viene definita nichilismo.


Il nichilismo (parola che contiene il termine latino "nihil", ossia "niente") è la svalutazione di tutti i valori della tradizione, ossia di tutti i rapporti che tengono insieme gli elementi della forza. Ma Nietzsche, che sente di aver già vissuto il nichilismo stesso in ogni parte di sé o attorno a sé, che anzi si senta ormai "dopo" di esso, comprende l'importanza del Nichilismo attivo. Poiché, per il nichilista attivo, il tramonto dei valori coincide con l'alba della volontà di potenza.


Ma per comprendere appieno il nichilismo nietzschiano dobbiamo fare un passo indietro, dalla "morte di Dio" al "Superuomo".


La morte di Dio è l'espressione compiuta della critica alla metafisica portata avanti da Nietzsche, la quale viene annunciata ne "La gaia scienza", considerata dal filosofo come l'epilogo della catena di scritture iniziata nel periodo di Sorrento. Dio altro non è, infatti, che il simbolo di tutte le prospettive ultramondane, ossia del porre il senso dell'essere in un "altro" mondo, diverso e contrapposto a "questo" mondo. E ancora, Dio è la personificazione di quella ricerca di certezze dell'umanità, l'insieme delle credenze tanto metafisiche quanto religiose per dare un "senso" alla vita. L'umanità cerca di porre una "insensatezza" del dolore, quel destino umano di sofferenza, sublimando tutti i propri valori in una dimensione ascetica, che rappresenta per l'appunto la forma  compiuta dell'essere.


Per Nietzsche quindi Dio e questo "oltremondo" rappresentano una fuga dell'umanità dalla vita, una rivolta verso questo mondo, il nostro mondo. Nietzsche arriva scrivere nell'"Anticristo" che Dio si dichiara come inimicizia alla vita e alla volontà di vivere.  L'Anticristo è proprio quell'opera che segna, come proprio nodo teorico, il collegamento tra la morale (il cristianesimo così come la religione) e il nichilismo. Il pensiero nietzschiano, in effetti, rifiuta alla radice il concetto di ideologia, di volontà pratica. Nietzsche definisce il genio come il "più libero", dove la libertà consiste nella mancanza di condizionamenti metafisici. L'uomo comune è pensato (dalla metafisica) come dotato di una "condizione" dalla quale non può liberarsi. Proprio per questo l'Anticristo può considerarsi come una "premessa" a quell'opera sulla volontà di potenza che Nietzsche non riuscirà a scrivere. Nella prefazione, egli sottolinea come l'Anticristo sia, a tutti gli effetti, un libro per pochissimi. Solo coloro che hanno una predilezione al "labirinto", a quelle domande di cui nessuno oggi ha il coraggio di porsi; è riservato a coloro che hanno "nuove orecchie per una nuova musica" e "nuovi occhi per il lontanissimo": un'incondizionata libertà verso se stessi.


Ciò si lega strettamente all'annuncio della morte di Dio, un racconto ricco di simboli, di giochi allusivi di immagini. Ritroviamo la "difficoltà nel cancellare l'orizzonte", come da lui viene definita, ossia il compito sovraumano dell'uccisione di Dio. C'è un senso di smarrimento, una vertigine, di fronte allo svanire delle certezze: l'uomo, in effetti, ha dovuto creare Dio per sopravvivere, ossia ha dovuto convincere se stesso che il mondo è qualcosa di logico, benevolo e addirittura provvidenziale. All'origine della natura di Dio, come abbiamo detto, c'è la paura dell'uomo di fronte all'essere.


Il "folle uomo", ossia il filosofo, ma anche una sorta di profeta, ammette di essere giunto troppo presto. Lo stesso Nietzsche, sempre nella prefazione all'Anticristo, dice di se stesso che "solo il domani gli si addice". Infatti, la coscienza della morte di Dio non si è ancora concretizzata nelle masse. Perfino l'ateismo dell'Ottocento (rappresentato, probabilmente, dalle risa degli uomini del mercato) non comprende appieno la portata degli effetti della morte di Dio. Il senso del problema dell'essere si apre, con la morte di Dio, nella nostra condizione di "essere al mondo".


La morte di Dio appare dunque come una tragedia. Ma questo trauma lo vive l'uomo che è ancora bloccato in quella situazione di stallo tra il tramonto della divinità e la nuova alba, che è ancora bloccato in un nichilismo "incompleto": anche se i vecchi valori sono "morti", i nuovi valori continuano ad avere la stessa fisionomia (un'ottica fideista o metafisica). C'è bisogno, in questo stato, di credere ancora a qualcosa, c'è ancora bisogno di questa "verità".


Il nichilismo è uno stadio, un "no" alla vita, che viene superato attraverso la volontà di potenza, attraverso il grande "si" ad essa. Chi può prendere correttamente atto del crollo dei valori? L'Oltreuomo.


Nietzsche fa coincidere la morte di Dio con la nascita del Superuomo. Non solo una sentenza su fatti storici, bensì una visuale di tipo filosofico, di portata epocale. Nietzsche non solo contesta Dio, ma ogni suo tipo di surrogato: gli uomini, al termine di alcune divinità, tendono sempre a crearne di nuove. Dopo aver ucciso Dio, l'umanità è in grado solo di mettere al suo posto le proprie ossessioni: il progresso, il socialismo, la nazione, il sesso, la razza, lo sviluppo economico... tutte le forme di un'esistenza chiusa nei propri limiti. Ed è per questo che l'uomo deve essere superato.


Il Superuomo è colui che riesce ad assumere i modi più disparati dell'esistenza, poiché è toccato profondamente dalla vita, da tutte le forme o i generi di vita, dalle stelle agli animali. Vive tra tutti i gradi di potenza, vive del loro superamento reciproco, senza limiti, senza quei dubbi riguardo l'esistenza che fanno necessitare di un Dio, di un redentore del mondo. La natura è il processo produttivo in quanto tale, l'innocenza del fanciullo (lo stesso Delle tre metamorfosi) al di là del bene e del male.


Per Nietzsche, ciò che si può amare dell'uomo è che egli è un  passaggio, un trapasso. In effetti, egli identifica l'uomo come la "corda annodata tra l'animale e il superuomo", una corda tesa sopra un abisso. E' sempre un pericoloso andare al di là, un pericoloso essere in cammino.


Se la morale cristiana tentava di dare un senso al dolore inventando o cercando un soggetto colpevole, nel mondo della volontà di potenza non c'è colpa, poiché ognuno fa solo quel che può (volontà = potenza). Tutti i fattori di disturbo della nostra vita, gli spigoli contro cui sbattiamo, non sono altro che i transiti, le svolte, molto spesso brusche, che la vita affronta quando si trasforma. E qui si torna ad un punto fondamentale: la metamorfosi e il potenziamento si manifestano come dolore, perciò il dolore non è un limite dell'esistenza che va tolto, ma ciò che necessariamente accompagna il divenire.


"La vita stessa, la sua eterna fecondità e il suo eterno ritorno determinano la sofferenza, la distruzione, il bisogno di annientamento.. " scrive Nietzsche. Il Superuomo possiede un'accettazione totale della vita, propria dello spirito dionisiaco.


La volontà di potenza può essere identificata con il "che cosa" del mondo, per Nietzsche, e l'eterno ritorno con il "come" del mondo. Il fatto che Dio sia morto non implica che l'esistenza è abbandonata al disordine del "le cose stanno così come stanno". Nietzsche presenta un nuovo pensiero che rende compiuta anche l'esistenza che non conosce speranze trascendenti: l'eterno ritorno dell'identico, ossia un modo inedito di vivere il tempo. Il tempo, secondo questo pensiero, è già compiuto nel suo movimento, nel suo trasformante procedere; non ha bisogno di guardare fuori di sé nella ricerca di un senso, perché il divenire è tutto l'essere che c'è, senza un'origine, senza una meta. Si vince così il potere paralizzante della storia. L'eterno ritorno significa, appunto, l'identità tragica, artistica, fanciullesca, di contemplazione e movimento, di pensiero ed esistenza: l'ultima affermazione di Dioniso.


L'eterno ritorno è probabilmente il pensiero più profondo e decisivo di tutta la filosofia di Nietzsche. Accade durante l'estate del 1881, durante una passeggiata nel comune svizzero di Sils, nei pressi di un lago montano. Qui ebbe una folgorazione così forte quasi da essere costretto ad accasciarsi a terra, a ridosso di un grande masso. Poiché Dio è morto (non esiste un aldilà metafisico), e la realtà circostante è composta da un incommensurabile numero di elementi, questi elementi devono aggregarsi tra di loro uno sconfinato numero di volte. Un concetto che ha una qualche derivazione dalla concezione greca di un tempo circolare. Non vi è un fine, un obiettivo, un traguardo: l'universo nascerà e perirà in un immortale e smisurato moto eterno, sempre uguale a sé stesso.


E' questa rivelazione che appare per la prima volta nell'aforisma 341 della Gaia Scienza, quella del demone che striscia nella nostra " più solitaria delle solitudini", per dirci come dobbiamo rivivere questa vita, esattamente come l'abbiamo vissuta, innumerevoli volte ancora. E' forse proprio questo passo così suggestivo il vero spartiacque tra l'uomo ed il Superuomo. La gioia per l'eterno ripetersi dell'essere è tipica del Superuomo, perché come sappiamo egli è colui che ha detto sì alla vita, accettandola totalmente.


La formulazione più completa dell'eterno ritorno ci appare in Così parlò Zarathustra, nel suo discorso de "La visione e l'enigma". Poiché, oltre a non esistere alcun Dio, l'esistenza è priva di sensatezza ai fini della vita umana, è necessario che l'uomo si elevi al di sopra della morale e della legge, liberandosene. Questo significa un ritorno ultimo alla Terra, alla perfetta amoralità della natura. "Il Superuomo è il senso della terra" scrive Nietzsche.


Qui, a tutti gli effetti, si delinea con forza qual è il carattere fondamentale del Superuomo: l'amor fati, un'espressione derivante dal latino che indica l'amore verso il fato (destino). L'amor fati è un atteggiamento di accettazione attiva del proprio destino. Un essere umano che è riuscito ad elevarsi a Oltreuomo riesce a far coincidere la propria volontà con il corso degli eventi esattamente come essi si presentano. Il Superuomo è vittorioso in quanto riesce a far coincidere la propria volontà con l'Eterno ritorno, con ciò che accadrà, con ciò che è accaduto. Egli prova gioia per ogni aspetto dell'esistenza come essa si manifesta, accettando il proprio fato in un percorso circolare.


Il simbolo utilizzato fin  dall'antichità per l'eterno ritorno dell'uguale è l'Uroboro, un serpente oppure un drago che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio né fine. Simboleggia l'esistenza di un nuovo inizio che avviene tempestivamente dopo ogni fine, è la metafora ultima di una riproduzione ciclica (la morte e la rinascita, la fine e la creazione, la Grande Opera alchemica).


Infatti, proprio questo simbolo viene fortemente ripreso in Così parlò Zarathustra, quando il pastore morde e poi sputa lontano da sé la testa del serpente. Imprimere il divenire (la scritta "En to pan", uno il tutto, accompagna molto stesso l'Uroboro) è la suprema volontà di potenza. Tutto ritorna: questo è  l'avvicinamento estremo del mondo del divenire e quello dell'essere.


Nel 1882 Nietzsche scrisse ad Overbeck: "Se non riesco a inventare l'espediente alchimistico di trasformare anche questo fango in oro, sono perduto". L'Eterno ritorno è, di per sé, una forte immagine alchemica. L'uomo, attraverso la partecipazione attiva della congiunzione delle sue nature, compie il "terzo prodotto": attraverso il rinnovamento del ciclo imprime quello che è il vero senso compiuto della Natura, il vero vivere il mondo Dionisiaco, la vera contemplazione, il verso superrare l'uomo, il vero amor fati... il suo divenire, la sua metamorfosi.

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