Risposte sul testo La forma e la vita di Luigi Pirandello (Italiano)

Nella prima parte del brano si analizza la contraddizione fra forma e vita, fra norme, consuetudini e ideali da un lato e il flusso nascosto delle sensazioni e della spinta anarchica e irrazionale delle pulsioni dall’altro. 

Nella seconda parte si analizza che cosa succede quando il meccanismo che ci induce a vivere immersi nella forma si interrompe. 

In questi casi può accadere che ci guardiamo vivere: viene meno l’im-mediata adesione alla forma, alla società, alle consuetudini e allora guardiamo, con distacco, noi stessi agire in essa: diventiamo, cioè, estranei a noi stessi. Oppure, in altri momenti, percepiamo, al di là della forma, la forza e il caos della vita, un “oltre” indistinto, un vuoto che ci fa paura, e nel contempo avver-tiamo tutta la miseria di una vita ridotta a forma, a meccanismo sociale, a gioco di maschere.


La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d’arrestare, di fissare in forme stabili e eterminate,dentro e fuori di noi, perché noi già siamo forme fissate, forme che si muovono in mezzo ad altre im-mobili, e che però possono seguire il flusso della vita, fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il mo-vimento, già a poco a poco rallentato, non cessi.

Le forme, in cui cerchiamo d’arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo a stabilirci.

Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima, e che è la vita in noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una personalità. In certi mo-menticl tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi distinto e che noi abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti, nei doveri che ci siamo imposti, nelle abitudini che ci siamo trac-ciate, in certi momenti di piena straripa e sconvolge tutto.


Vi sono anime irrequiete, quasi in uno stato di fusione6 continua, che sdegnano di rapprendersi, d’irrigidirsi in questa o in quella forma di personalità. Ma anche per quelle più quiete, che si sono ada-giate in una o in un’altra forma, la fusione è sempre possibile: il flusso della vita è in tutti.

E per tutti però può rappresentare talvolta una tortura, rispetto all’anima che si muove e si fonde,il nostro stesso corpo fissato per sempre in fattezze immutabili. Oh perché proprio dobbiamo essere così, noi? – ci domandiamo talvolta allo specchio, – con questa faccia, con questo corpo? – Alziamo una mano, nell’incoscienza; e il gesto ci resta sospeso. Ci pare strano che l’abbiamo fatto noi. Ci ve-diamo vivere.

In certi momenti di silenzio interiore, in cui l’anima nostra si spoglia di tutte le finzioni abituali, e
gli occhi nostri diventano più acuti e più penetranti, noi vediamo noi stessi nella vita, e in sé stessa la
vita, quasi in una nudità arida, inquietante; ci sentiamo assaltare da una strana impressione, come se, in un baleno, ci si chiarisse una realtà diversa da quella che normalmente percepiamo, una realtà vi-vente oltre la vista umana, fuori delle forme dell’umana ragione.

Lucidissimamente allora la compa-gine dell’esistenza quotidiana, quasi sospesa nel vuoto di quel nostro silenzio interiore, ci appare pri-va di senso, priva di scopo; e quella realtà diversa ci appare orrida nella sua crudezza impassibile e mi-steriosa, poiché tutte le nostre fittizie relazioni consuete di sentimenti e d’immagini si sono scisse e disgregate in essa.

Il vuoto interno si allarga, varca i limiti del nostro corpo, diventa vuoto intorno a noi, un vuoto strano, come un arresto del tempo e della vita, come se il nostro silenzio interiore si sprofondasse negli abissi del mistero.

Con uno sforzo supremo cerchiamo allora di riacquistar la co-scienza normale delle cose, di riallacciar con esse le consuete relazioni, di riconnetter le idee, di ri-sentirci vivi come per l’innanzi, al modo solito. Ma a questa coscienza normale, a queste idee ricon-nesse, a questo sentimento solito della vita non possiamo più prestar fede, perché sappiamo ormai che sono un nostro inganno per vivere e che sotto c’è qualcos’altro, a cui l’uomo non può affacciar-si, se non a costo di morire o d’impazzire. È stato un attimo, ma dura a lungo in noi l’impressione di esso, come di vertigine, con la quale contrasta la stabilità, pur così vana, delle cose: ambiziose o mise-re apparenze.

La vita, allora, che s’aggira piccola, solita, fra queste apparenze ci sembra quasi che non sia più per davvero, che sia come una fantasmagoria meccanica.

E come darle importanza? come portarle rispetto?


Domande

1) Cosa sono le «forme fissate» che imprigionano l’esistenza umana?

2) Cosa intende invece Pirandello con il concetto di «flusso»? Quali realtà umane sono soggette a essere sconvolte dal flusso dell’esistenza?

3) Quale rapporto ha l’uomo con il proprio corpo? Quali ne so-no le conseguenze?

4) Cosa dovrebbe a tuo parere augurarsi un uomo che appar-tenesse alla categoria di quelle che Pirandello chiama «ani-me irrequiete»?

Risposte

1) Le «forme fissate» che imprigionano l’esistenza umana sono le abitudini, le azioni, la stabilità quotidiana che chiude l'essere umano in una bolla, una routine, una forma fissa da cui si fa fatica a scappare.


2) Pirandello, con il termine flusso, vuole rappresentare il concetto di ,successione degli eventi. 

Tali eventi sono le occasioni, gli avvenimenti, le situazione che la vita ci mette a disposizione durante la nostra permanenta sulle terra e ogni evento è ,per l'appunto, un flusso che inizia e finisce.

Questo flusso sconvolge le persone che si sono bloccate nella bolla dell'esistenza quotidiana, perché rende quest'ultime coscienti della loro passività, del loro silenzio interiore, del fatto che sono persone prive di senso e di scopo. 


3) l’uomo ,con il proprio corpo, ha un rapporto di estraneità, come se il corpo non fosse suo, come se il corpo si muovesse da solo senza il controllo dell'uomo e le conseguenze sono paragonabili ad una morte cosciente.

l'essere umano si ritrova a vede in terza persona la propria vita rimanendone però estraniato come se l'unica opzione a lui concessa è guardare senza poter agire, ciò provoca un cambiamento intrinseco del io umano andando ad elevare la  consapevolezza ad un livello superiore.


4)  Secondo me un essere umano diventato un'ani-ma irrequiete ha 2 scelte.

L'essere umano ha un corpo ed un anima e quando l'anima muore si può aspettare che il corpo faccia lo stesso o agire, andando a ricreare il proprio io che ormai si era perso usando a proprio favore il immergere nel flusso di eventi che la vita ci propone. Un esempio cinematografico di tale concetto si può trovare nel film YesMan dove il protagonista, ormai diventato un'ani-ma irrequiete, ritorna a vivere iniziando a dire YES a qualunque cosa gli proponesse la vita, rientrando così nel flusso

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